"Tracce" di Gherardo Bortolotti raccoglie i testi pubblicati sul blog canopo Il file, in formato .pdf o .lit, è scaricabile dal sito bgmole.wordpress.com
oceani tremanti di grano che i cofani in schiera rimandano all’asfalto del parcheggio: prismatica e altera rimani: tempio estremo ultima Thule tra l'assorto silenzio del Midwest e l'abisso sciamanica già nella scelta del luogo, al termine sempre di un voto e un cammino (non si dice: “ già che passo da quelle parti, ci faccio un salto”) vergine ai segni, vascello del superstite raccoglimento, mia idea contraffatta e perciò incontraffattibile del puro: mi abbaglia pensare che Gandhi o Richard Nixon non potrebbero avere un’Ikea più funzionale della mia o più mitopoietica o con anfratti più maliosi nella sala magazzino dove a volte (si racconta) tra le ombre delle ultime corsie di un cliente benedetto si ritrovano solamente poche ossa ben sbiancate, indigeste alle sirene. Ridoni ai tuoi nomi il mistero del sacro e Snorri riporti a Shangri-La: Ljudal è di nuovo il dragone che naque dal piede di Ymir; Inreda è ora il tronco dei mondi Norrebo il destriero di Odino. Nei favi componibili vi è un’eco (per chi la sa sentire) promessa di un mondo accurato, leggero, pieghevole, finito; la danza di forme create a saziar l’un nell’altra ogni conflitto; la chiave che tutto sutura; e il legno la pelle la piuma adesso investite di senso si scoprono a parte del disegno (simmetria, simmetria, per piccina che tu sia) di aurore sognate nel ghiaccio e cristallo, e notti semestrali, bagliori nel camino, pipe di gesso, sci di legno, giacche di renna e sfilze di consonanti, gole secche che cantano là fuori nella steppa? tundra? (comunque muschio grigio e brina antica, a vista d’occhio) (si vede che hai viaggiato, studiato, letto Ossian) da piccolo avevo il terrore che i santi mi apparissero o la Madonna o Babbo Natale ma dico te lo immagini Babbo Natale così, per davvero, stivali e saccone, in casa MIA? Nel caso senza dubbio avrei urlato. Quest’oggi da solo guidavo tra oceani tremanti di grano, di masse dorate ed incerte, e non avevo nessun mantra da intonare non avevo una difesa (una qualunque!) da quella morsa arcigna di possibilità di orrenda libertà di cielo intrappolato nelle spighe di assedio all’abitacolo di un demiurgo sfiduciato come me. E so che potrei assemblare l’universo se solo accettasse la carta di credito e avessi le istruzioni. A volte ho sognato che la notte stavo chiuso nell’Ikea che mi potevo muovere sereno nello spazio e nel tempo specifici dell’Ikea planando in un mondo soltanto di interni dove tutto trova posto in un cassetto o uno scaffale (inclusi i cassetti e gli scaffali, in cassetti e scaffali più capaci) popolato di famiglie appena implicite le ombre abbracciate di Hiroshima l'ideale vicinato e passo dalla tavernetta di un collega alla cucina di un amico al salotto della nonna mai simpatica e gentile come adesso che è morta: la ritrovo alla consolle di una cucina in tinta rame: ha una torta di mele e un bicchiere di latte. Per me? Riappariamo in un altro salotto e poi un altro viaggiamo in non meno di cento ogni stanza col suo latte, la sua torta, e la sua nonna e le sue confortanti simmetrie da sbarre nelle sponde del lettino (“è per proteggerti meglio”): e poi la mattina i custodi riaprono i cancelli dell’Ikea e io non ci sono più.
Il Beccafumi trova la troia di benessere Il Beccafumi si trovò una troia di benessere. Il tenue profilo, la dipinse quasi occultata dal tronco dell'abete. Il cielo divorato dai rosa in fondo.
Questa volta il Beccafumi erano in tre: in due specchi dunque quattro, commentarono, e la nebbia saliva, dodici di loro, tutti traditori, fissi nell'immobilità della fuga con il bavero di pelliccia rialzato (Huineng: non c'è specchio)
Vide dio: chiamandosi teneramente e per ischerzo guidogozzano o dylanthomas. Era quetzalcoatl, il serpente la grande bestemmia, il blu dipinto di blu, il loico, il libidico, il teologo, non si occupava se non dell'invisibile.
Presto arriveremo a durango, o a bisanzio, là dove il punto di vista crea l'oggetto e fra due fiumi come il tigri e l'eufrate o dove gioca la croce del sud in uno specchio tremulo lì dove c'è una stella, una stella che usciremo a rivedere, fanciulla, sacra prostituta, manto di giaguaro sei questo viso che ride d'ogni sciagura e di tutte le catastrofi, questo scheletro perlaceo che non è più un discorso, che non lo è mai stato.
Piange al capezzale dell'estate, prevede scene turche, negre, torinesi, sarà autunno felice per lunghe ombre nel pomeriggio, aiole abbandonate, fumo fra i docks, arrivando come se fosse un'alba e l'esperimento della gran vacuità.
Un sogno di vento: non è il diamante, non è la sfera di cristallo: la bolla, solo la bolla.
Di ottobre in un respiro lo stradario folle la fine del sonno di millenni, la colomba, l'interminata veglia che fu un concerto sospeso lo scorso settembre nel corridoio degli affreschi, ritornare sui luoghi, sul luogo, tutti i luoghi dove respirava, dipinto forse in forma d'isola nel box, d'angelo o di nera nube, densa e gonfia.
Retrogadante granchio lo sguardo bolliva acque la palude fumava da molto aprì pianissimo le chele fisso nella lentezza del moto una tenda fu scostata lasciando vedere la scena in cui si nascondeva
avrebbe bevuto tutto gocce calde brillavano sulle sue labbra in figure di passaggio e fuga (uno)
fumo azzurro guadagnava un soffitto di crepe (due) stringeva in mano un piccolo bicchiere (tre) i suoi occhi ascoltavano suoni fluttuanti (quattro) vedeva navigare la luna tonda a velocità folli fra le nubi (cinque)
correva di notte su un ponte altissimo ridendo a squarciagola (sei)
diveniva immortale fra le montagne (sette) guardandosi in uno specchio incrinato si faceva penetrare (otto)
ella taceva affondata e sospesa nel silenzio altissimo dei suoi occhi, il Beccafumi concertava traveggole e fughe, fra scorci scombinati e lascivi. Un esercizio elisabettiano, per una sola mano inizierebbe così: se vi fosse piuma, petalo, anello o soffio, qui un segno (mi) è dato, degli occhi di ella il silenzio immenso, saldato alla piega che non è piega, e che cancella tutte le parole, intelaiatura materialistica del profumo e del sogno, e finirebbe così press'a poco: ella taceva, affondata e sospesa.
ritratto (II) con paesaggio
Per qualche regina uscita un giorno dal nero della terra nera uscita un giorno della nera terra. Per te il ventaglio schizofrenico dei gesti. In una valle che va più su più giù in un quadro perduto, in una perdita ché musica, in una musica che di luce perfonde le cavità bagnandole, i rosoni -eccetera- dove il Beccafumi sorrise, una volta ancora escogitata la fuga.
e fu impaginatura liberty con accenni ed accenti che il Beccafumi spiava floreali, capocchie rosa o grigio fumé: fu poeta persiano nella portineria jolly di memorie, nel mazzo centrivoco e centrifugo delle sue carte, che teneva sparse e riposte ovunque.
magicamente (ripeto: magicamente) la figura fresca di lacche e di terre iniziò: prese a dire nel forse nel può darsi nel certo qual senso nel su per giù. Il Beccafumi taceva in un ascolto convesso, di una convessità nomade, in fuga e che perdeva sangue, logicamente. Poi proseguì con il non è un vizio è un'arte perché, così.