ALINA Madri. Eravamo. Illuminate dal figlio nella corsa. Sprofondate nei lucidi capelli della figlia.. Forse è colpa, quel cieco confidare nelle carni dei nati. Meglio strapparseli di dosso in tempo. Svuotarsi.
INGA Ora ti do ragione, Alina, questo tuo parlare, benché dissennato, va dentro alla cosa, preciso. Perché non si era visto ancora un mondo, un posto fottuto dentro al mondo, dove fosse sventura il partorire, e danno feroce ogni minuto passato a far crescere corpi, lisciando e modellando come piccole sculture, annaffiando come fossero erbe e piante, un luogo maledetto dove rimpiangere di non esserci sepolte in fretta, ai nostri giorni di ragazze. Sotto metri di terra bagnata bisognava andare, che nessun gesto di uomo ci sfiorasse il ventre. Donne stupide e cieche. Pensare di vivere per sempre nei figli ingrossati. Nessuno ci aveva avvertito? Nessun delirio di madre accecata ci era stato raccontato? O non doveva forse circolarci nel sangue inplacabile, non detto, senza voce, eppure così familiare. Bastava voltare la testa. Madri davvero idiote, per non voler ricordare ciò che il tempo ha ammassato. E come se non bastasse, eccola qui, la piccola bastarda, ciò che resta di chissà quale innesto, incrocio allucinato, fecondazione di macchine e bestie, eccola che arriva con la sua pancia sformata, cigolante. Ma guardati, animale, cos'è questo ventre rigonfio, questo finto bagaglio che nascondi sotto le vesti? Cosa credi di riempire, che meccanismi agitare in quel tuo utero disseccato prima del tempo... credi forse di pompare sangue e aria e luci dal mondo? E' per questo che ti gonfi, perché il vuoto delle viscere non t'inghiotta, per questo vai in giro a disfare le carni degli altri? Ecco le nuove madri, con facce da bambine e corpi dilatati e sonanti.Ma il tuo feto è freddo come un inverno senza fine che uccide le pianure e brucia per sempre le gemme. Il tuo feto ti gela la vagina, piccola puttana. Ma sia, Aspetteremo con te il tuo parto mostruoso. Ci va di assisterti, sai?
A. Vado ai miei. Una folla. Ci vado con questa pancia posticcia. E allora? Purtroppo per voi c'è un'altra versione. Dei fatti. Generare rivolta. Sedizione. Mi farò trasparente e svuotata, andrò leggera in stretto dialogo con me sola, e gli altri miei che già fanno cerchio, in attesa. Prima, però, sarò l'assalto che vi secca la gola, sarò il travaglio e la gola che vi spezza, vi atterra.
LANA Strana, la ragazza. Prima sussurra invasata, come l'eroe che cade ma non sa, come uno che raccoglie sulle spalle destini implacabili, oscuri. E subito dopo alza la voce, arrogante, e gira gli occhi intorno come un uomo che si è armato. Non voglio più sentirla. Facciamola tacere, cuciamo quella bocca.
INGA Avremo tempo, dopo. Adesso invece mi va di ascoltare. In fondo la nuova versione è più comprensibile, come un suono che richiama un altro e gli si affianca. La piccola va in giro con questa sua pancia piena di biglie e bulloni, si muove sferragliando. Peggio che un uomo, un mostro. Diamole il tempo di sentire sulla lingua il gusto di tutto quel metallo mentre ancora s'illude di poterci minacciare.
ALINA Un'innamorata dei morti, odiosa al mondo delle madri
A. L'hai detto. Mi ripugna questo vostro piagnisteo, questo affondare i piedi nella terra biascicando preghiere. Non sono più miei docilità e lamento, vado sola all'azione, al linciaggio. Se devo oppormi, che sia almeno senza ritorno il mio oltraggio alle misere leggi. Dissolversi. Diventare invisibile. Che nessuno possa trovare di me una traccia, un residuo. L'impronta di un lontano passaggio tra i vivi. L'hai detto, non verranno figli dal mio ventre. Ho corpo nuovo, mai visto, di questo avete paura, donne immiserite e senza fantasia. Ho una morbidezza, qua sotto la gonna, che esplode e s'indura, ho schegge e frammenti d'acciaio per un combattimento che neanche i vostri uomini saprebbero osare. Non padre. Non madre. Non fratello. Non figli a venire. Io ora sono madre, e figlio, e fratello, io lo specchio. Io il parto sanguinoso e imprevedibile. C'è giustizia. Infine.
LANA Eccola che ricomincia.