26/06/07

Ditlinde Persefone Mendez

il trip da in fieri divenne infitias, sperare che si materializzasse la dea nera o qualche divinità dissidente, esterno giorno, area quasi boschiva nella contea dell’antico forfice dove un tempo apparivano singolari fate, cielo turchino come in cicli precedenti tra mappe della via della perfezione o battiti delle ciglia del misericordioso, ormai la cronologia non ha alcun rilievo, meraviglia che non ci siano stati incontri altri, degni di nota, da catalogo operistico o da urlo, mestizia in agguato tra le frasche, frattanto il poco celeste mandato tra i miracoli dell’accanimento agonistico, della progettualità o del vassallaggio, accanto al padiglione tutto lo stardust immaginabile, sbandieratori ligi o pigri, divi prezzolati dal fantaturismo, la visione del sabba, sostanzialmente più adatto vedersi fuori dal coacervo di consacrazioni e benedizioni, insonnia incipiente, risalire con il velocipede l’angusto asfalto, le membra che si illanguidivano e sembrava di dover percorrere ancora non si sa quante parasanghe, i trapassi dei guru che cercano informazioni presso gli indovini o consultano i tarocchi marsigliesi prima di varcare l’uscio, bianco per le vesti e per gli spirti, raggiungendo ciò che resta di stregate fortificazioni o una discarica, che amarezza o che detonazione, meglio non approfondire eventuali fantasticherie, niente storie-lampo ma rigori argomentativi che in un apparente torpore divenivano fanzines da leggersi presumibilmente l’indomani, quanto potrebbe essere ritemprante fuggire dalla caldana sofistica verso la valle delle rose o da un’altra parte, percorrere placide radure istoriate da pittori itineranti, il cicerone narrava della grandezza degli asburgo-coburgo, sacre famiglie di tutto il mondo unitevi, la condusse in un’arena e la fece scomparir dove un tempo prosperavano i cedri prima che il clero provvedesse a disboscare per costruire altri regni dei cieli, sessione senza tregua che fu anche l’ultima della serie, detestabile anche soltanto immaginare anticipazioni della percezione, esistenze disordinate, così lui, il resto in un calice di gin o calvados, come se ci si dovesse giustificare di fronte a quei bifolchi, clima polare, ritrarsi della luce, altro messaggio gravemente criptico, quell’altro essere in fuga da sé medesimo, la sua sensibilità l’aveva riportato, attraverso gli ulivi, trascendere quattrini o stati civili come se ci si catapultasse in un night anni cinquanta mentre fuori non cambia nulla, che ci si trovi sull’oceano o in un rimasuglio di vestigia della legione tebea, iniziato da una carampana non si era mai ripreso, sentirsi malissimo, non poteva accettare che potesse finire mai e per nessuna ragione, socialità, uova fatali, fuga da un retablo aragonese, possa dunque pacificarsi questo monsone, giungeva una missiva in due episodi, sul merito e il demerito, annotava poi la vita mia é un abisso di viltà, deleterio spiegarlo attraverso asettici codici, in hoc signo dunque, inusitato definire se medesimi in un gran canyon di colpevolezze, ascenderai ai cieli di indra o altre divinità, non vederlo era straziante ma vederlo poteva essere anche più doloroso, vista la cornice entro la quale ci si trovava a esser gettati, nell’ambito di cui all’oggetto sopra, frattanto notizie sui fiordalisi, sui balletti russi e altro ciarpame riempitivo, dalla sacra sponda ancora più fiorita la cronaca, voluttuosi segnali che senza scomporsi anelavano ancora e sempre a una ripresa di sentieri interrotti, quello che sei per me, non-sensi linguistici e ancor più surreali referenti empirici, la problematicità, tanta che neanche si poteva immaginare, la preziosità, polvere aurifera appunto, carteggio traboccante con estensione dalle repubbliche liberate dall’est, asteron panton to kallistos, inutile aggiungere altro ad asteniche serialità che selciavano anche l’etere, periplo tra le fioriture, mala tempora currunt, evidente disagio nell’orrido antro, così lui, ma lo spegnimento degli elettrodomestici aveva posto in essere un silenzio che gli era parso eterno, rotto il quale riesumò giasone il tessalo, la nuova colchide e considerazioni inattuali sul volo, le ali, il piombo, cosa poteva voler dire l’onirico in tutto ciò, non ci sono parole né sottotitoli ma non si possono polverizzare anche i sogni o ciò che resta dell’immaginazione, senza baloccamenti né setacciamenti, fraseggi che facevano entrare in una sorta di crisi cognitiva oppure associare riti dionisiaci a personaggi sbagliati, o che estendevano un’indifferenza senza pietà, qui le cronache erano molto diverse, hai avuto il verbo o assaggiato il nerbo, non così né così, impossibile sarà, non movimento, verso l’alba prendeva atto che morfeo doveva aver sospeso l’erogazione aggiungendo che si trattava di una notte da incubo, dall’altra parte la rilettura del quijote, alice in wonderland e presto anche dei villancicos di juana de la cruz, fuori di lì seguaci di raggruppamenti in cerca di ridefinizione, domani ancora o forse verso camelot, spazi unici rinvigoriti da improbabili narratologi, così è stato udito o così potevano dedurre certe astrologie giudiziarie, visibilità minima, agire comunicativo ridotto al telematico e forse presto ai piccioni viaggiatori, inutile parlare di fiori o filtri, eccoci, psicodrammi politichesi e mai niente di più, a cosa anelare se non a una venuta dei farc o a una pioggia opportuna di blue mountain introvabile come i margini della filosofia, a meno di non manifestarsi quali sostanze angeliche, senza ali di cera né mappe eurosiderali, prestazioni da macchina desiderante tra temperature arroventate da onde anomale d’aria fritta, bovindi stile fascio o châlets prototirolesi, un insolito temporale finito da poco, aria più respirabile, ultracorpi che si pascevano strada facendo, fonti magnesiache con effetti psichedelici, professionisti di successo con qualcosa che non funziona tanto, libri edificanti sul percorso di capitalisti che riscoprono la mistica, cosa vuoi ancora leggere, preferibili numeri introvabili di penthouse o diari segreti dell’anonimo ravennate, fiere genti piene di risorse che non tirano via niente, mai, colori prismatici, provvidenziale sospiro della pia unione del transito o di una congrega di prosseneti convertiti in infestanti encicliche al lume di lampade next age, l’incedere di matrone cingolate tra cui la regina del mambo, specialisti, patiti della clessidra, augustissimi e altri sontuosi esseri, si rilegga il libro di amos



21/06/07

Riccardo Cavallo: Parafernalia


Di che blu e turchini s'azzurrasse acquerellandosi un niente di niente
E che rosa assente vi s'invocasse più che evocasse a
Che oro s'alludesse di luminose specie e macchie e lune e galassie e quali
Istruttive osservazioni- il cielo in una stanza e quante serenate a tanto cuore
A tanta fessa a tanto fallo tanta tetta e tanto culo per imenei quasi celestiali


II

Qui: altrove tutt'altro guarda quell'apertura che inonda di luce la stanza vuota, là si trova la quiete, dal vuoto dello spirito la luce, che è l'infanzia della tenebra, in un contrappunto ed un controcanto nell'unico contraltare
La stanza che da sé si canta e vuota splende, una stanza in cielo


III

Guardate nella stanza chiusa, la stanza vuota
Dove nasce la luce, abaco la parete un segno che sparisce
il corpo


IV

Sussiste un algoritmo- lieu nul, vi si decifrano sirventesi
Ancora da scrivere e la sommità ne fiorisce in cuspidi
Al sommo e alla radice dell'albero cosmico, quale luce vi balla
Eppur sta ferma ,a che velocità altrettale seme fluisce l'ora su
E giù per meandri tube gole condotti trombe lungo i rami tutti e foglia per foglia ed ogni foglio
Una parete ,una pagina che estinguendosi cresce su sé stessa
In una metrica smisurata, abaco il foglio ed il segno sul muro


V

La parete dentro la stanza
Un abaco la parete
Dentro la parete una danza
La stanza un abaco a venire libri d'ore ove
Dilettosamente finiscono i tempi in un niente
Di niente


VI

"ORDINA IMMEDIATAMENTE LA PARTENZA. SE LA
MORTE SI AVVICINA DECAPITATELA.":
epifania di uno sguardo
innamorandosene scorrendo il passo in un soffio sospeso un viso
un quadro mai visto la metrica inventata di un evento smisurato
il simulacro di un volto- da che iridi promanasse o in quali si
riflettesse il vuoto luminoso che seta fluttuasse in quale
tenebra ove si posassero ceneri e polvere donde sorgono fenici
ne resta un segno sul muro il volteggio d'una chimera:


VII

(il sublime è adesso)
il bianco al centro vuoto del foglio
di una parete di una tovaglia:
Ne irradiano incantazioni di là dall'acefalia sdoppiata ai
Lati e della piaga invisibile di amfortas dentro la
Parete invece un abaco un battito d'ala un soffio un passo
In sospeso qui ancora la morte e da che iridi emanasse il vuoto
Luminoso ed in quali si riflettesse la morte ancora qui
A tergo risuona il nome:
che pone termine alla morte- angeli proseguono e demoni
e maghe in un trasparire di seta un calare di tenebre su
sfarinarsi di gessi e tremolio di cere sussiste un algoritmo
-lieu nul l'opera è nel foglio ma il foglio non è nell'opera
abbozzo spaventevole essi stessi sui piedi seni sul
posto senza muoversi luogo nullo


VIII

Uno schizzo da paura seta che ricade
Nel vuoto del cosmo sorpresa senza veli fino
A quale azzurro essi stessi sui piedi seni dentro il foglio l'opera tutta
E il volteggio della chimera luogo nullo che estingue
Ogni scenario abaco di segni una musica vi giace le polveri
E le ceneri che trasvolano tornando fenici in vesti termine al
D'oro in vesti di fumo in vesti di luce in vesti di gloria fu
Effetto di matita su una bianca trama luminosa si da
Risultare invisibile sinuoso tratto di danza il volteggio
D'una chimera il guizzo d'una sirena un segno su un foglio la firma
Il nome, di colui che pone termine alla morte




anonimo cinese - epoca moderna

18/06/07

Riccardo Cavallo: Seguita da: breve nota su Arianna

adìos sharzad.niente più racconto e non possono più punirti,più niente da inventare se non il volgere le spalle alla camera delle meraviglie,dei giochi perduti e dei ricordi.e mnemosine rimane pur sempre di natura titanica,finanche nello svanire sul fondo della figurina che simula un congedo,una lontananza messa in atto senza più canti o gesti-di svariati fantastiliardi a glossarsi in futuro almeno due le quaestiones,qui:come dire che il filo che strozzò fedra in un’epifania del desiderio sospeso per sempre è lo stesso che “salvò” arianna e teseo-ed è poco ancora che qui s’inizi ad accennare alla ambivalenza dell’idea stesse-ma non solo dell’idea di salvezza –tutto avviene nel retro aggrovigliato e contorto di un arazzo,o a dirne di più,nel retrofondo oscuro del linguaggio-in secundis se l’offrirsi ed il sottrarsi della figura non si confondano oltre il sopportabile ed il sostenibile fra la backdoor beauty di watteau già citata[compostxt ] e quest’indecifrata bambola che fa sembiante di […]



Laura Silvestri: Canti di lontananza

11/06/07

ditlinde persefone mendez : udakachandra


ઊઐઔੴઆચ

infiorescenze da urlo, sensazione gravemente emozionante senza oggetto preciso o forse infiniti prismi newtoniani, esaustivi percorsi kilometrici sulle rive d’un metastorico ruscello dal letto piu’ largo di quello del gange trasformabile per l’occasione in ricca area per pic-nic o circolo per molto soavi autocoscienze collettive, se traza un sendero muy amargo oppure nessuna valutazione e’ immaginabile, esplose un calore da altiforni addizionato al clima mefitico tipico dei luoghi ovvero all’audace ripresa di corazzate sagre paesane straripanti melopee lisce e caribu’ arrostiti, gli stati dello spirto verso una sorta di trance metayogica, a stento comprendevasi di trovarsi già all’indomani del corpus domini, non avendo riesumato breviari né mulini da preghiera per la bisogna. Immaginifiche labirintiche rappresaglie, notti particolarmente bianche, recitando l’om o meditando su possibili vie che trasportino al bello in un gnoseologia accessoria, la dominazione degli erlebnisse ancora e sempre, stato originario degli evasi dalla zoologia, vertiginosa dialettica di fittissime epistole che narravano di sovraccariche riflessioni über den grund vom satz, con strascichi di cante (canere, carmen, giardino magico o villa neroniana) jondo, une flore blanca que se arranca sin piedad o altri non-sensi linguistici, amore che fuggi da me tornerai e altre robe vediche polverizzatesi malamente nella durata o in inebrianti sessioni ofite che si sentiva la conflagrazione e forse la condivisione delle tutte le disgrazie di infiniti universi possibili, ahi lasso, profumata infusione giavanese rigenerante meno nociva dell’amarone o di prestigiose caraffe liturgiche, viscerale auspicio irresistibile del corporeo, rimembranze non proprio mirifiche, 1982, esterno giorno, valle poco incantata e contaminata da giostre venatorie sabaude, seguaci di wötan lasciarono tracce qua e là, tulilemblemblem, che cosa sarà stato attivato da chi, ennesimo fiacco tentativo di catarsi scritturale, depressione caspica arricchita da eventi bellici per nulla incoraggianti che forse rispecchiano la natura caprina di codesto anno, gli annessi e i connessi, che belzebu’ o chi per esso se li porti, possano gli inceneritori di tutto il mondo essere colpiti da orticarione senza tregua, da prurito anale persistente anzicheno’, possano essi ancora girare tumultuosamente e senza sosta in tutti i ricchi sedici piani di barocchi inferni bauddha oppure possano i loro congiunti rivoltarglisi contro, una volta per tutte oppure a puntate, secca, cielo allo zinco piu’ schegge di che un sano whirling possa farli precipitare,in una surreale gita verso il fiume in improbabili autocoscienze, rusticana superficie assediata, onore ai sommi veggenti, fulgidi progetti di improbabili ricerche interdisciplinari che non vedranno la luce né tantomeno il giorno, ruvide discese nei sotterranei dell’opprimente edificio misericordioso, tra i tanti palpiti, macilente stesure nell’hangar ermeneutico per kafkiani sapienzei, possa tutto cio’ finire in una fitta foresta di ortiche giganti, s’è perduto in quali spire parecchio punitive e sembra essere come certe mattinate plumbee alle scuole medie sulle quali conviene sospendere il giudizio, la negatività ontologica peggio degli olocausti nucleari o degli esperimenti a los alamos o quale accidente nervino, valori autentici o storie di vita vissuta o vera, che differenza fa, c’è sempre chi non è bastevolmente all’altezza di chissà quali corti di re artu’ e i suoi sgherri o altri seguaci scarsamente prezzolati, forse non era troppo cotto o provvisto di qualità elegiache o cos’altro ancora, atmosfere insostenibili con serie di coproduzioni indicibili, non saranno bastevoli fiorite ghirlande di rinascite né il wat pho, eppure sono vivo dovette dirsi, consolatorio nel coacervo di perle di sapienza per bufali neanche acquatici tenuto assieme con argomenti mirifici e sformati di pepite di entlebuch sepolte da ingredienti segreti, come aveva detto lei si’ anche a voi e per tutti noi, cosi’ è stato udito anche dalle mura e forse ma forse dai sordi che lo istoriarono ai ciechi, il convoglio s’arresto’ in una enclave da urlo, frammenti di declamazioni sui grandi del presente, lattine giganti di bevande esilaranti, nubi zeppeliniane di misture fatate, distributori di snacks polverizzati da palle chiodate o vigorose orde di imbestialiti, qui vissero e si espansero grandiosi saggi illuminati e illuminanti, con successivi ampliamenti faunistici non tra i piu’ leggiadri, frattanto giunsero segnali di vita che narravano di gite sulle nevi dello yeti ovvero di risanamenti piu’ o meno riusciti di settori molto out ultimamente, con glosse criptiche anzicheno’, niente chalet metastorico né visioni della piana di lumbini, troppo screanzati gli eventi degli ultimi tempi, al limite se proprio proprio dopo tutto cio’ che era stato fatto, largito e via dicendo, non restare a dormir sola, quasi necessario rifugiarsi in un covo di lesbiche delle caverne o in un coro polifonico barbaricino, tra un po’ l’ora stregata farà il suo ingresso e una trincia di sonno rem sarà carpita o sacrificata agli dei delle zone contaminate o denuclearizzate, incapacità di redigere minimaliste epistole, qual strazio, sortendo dall’antro cinematografico apparve l’imbufalita consorte del reduce da sindromi patatropicali ovvero inebrianti traversate riparatorie nei mari corallini di sontuosi arcipelaghi di gusto eccelso, ahi que dolor, credeva che il contributo alla dissoluzione della loro fulgida unione ovvero chissà quali incontri conturbanti, con sosta verso ruderi pseudogotici per concludere narrazioni di stati di agitazione o sortite dagli emisferi next age anch’essi asfittici, ecco appunto, la notte piu’ lunga tra turanici ulivi fulgidi chiari di luna ragioni della fede o vicende non tanto lecite, atmosfere vellutate tra acacie fiorite e rimembranze fin troppo articolate o proliferanti, frattanto schiudevasi una dimensione altra, privazione e interrogazione mentre gli eventi venivano inghiottiti in poco efficace precipitazione, passaggio alla lotta armata o quasi o forse che trattavasi di tornei di sumo tra verdi colline poco nirvaniche, nell’antro sensazioni troppo potenti con strascichi lirici anzicheno’, poi il ricomparire dell’improbabile hombre sotto ancor piu’ incredibili sfaccettature prima di essere – o forse già da sempre - trascinato verso universi di elettra o altri personaggi orrifici senza pietà, tipo giona nella balena senza storion, aiuto aiuto sembrava quasi sussurrare, stati indescrivibili nella scacchiera magica o regno di non si capisce quali prestigiosi principi o principî, der stand der faktizität, solidi palagi rigurgitanti meraviglie, calici dell’amicizia carichi di frammentazioni cordiali o conflagrazioni pneumatiche, verso percorsi napoleonici interrogandosi sulla storicità o la schiavitu’, altra discesa in sotterranei non proprio apostolici, poco dopo un altro essere la fece scomparir e con essa i significati dei significanti o la spazzatura di inconsistenti distanze semantiche, soleggiato l’arcadico pascolo o cosa cavolo era, non poteva mica continuare cosi’, forse se non avesse avuto l’audio, intanto tra gli orrifici il prosieguo gli orrori e le oscillazioni traboccanti di insolubili, la grandama traeva notevole godimento visibile ovvero respirabile, pare, anche le gite rustiche erano una gran figata piena di entusiasmo e motivazione, chi non partecipava non poteva certo ritenersi degno del da-sein o degli esistentivi, diamine, opacizzazione del tattva che lo condusse dalla sua antica amante con deliranti manovre ovvero sessioni shivaite verso sublimi metafisiche della luce riciclate piu’ da vite precedenti che non da plumbei contesti attuali dove il logos si appiattiva sulla consistenza del rognone o la possibilità dell’agnello macellato, ritirandosi su se medesimo e risultando di un corpo ferito, affranto, demolito da ansiolitici di fortuna, litri di bevande metamoscovite, aforismi insopportabili e ionosfere invelenite, impossibile riciclare seta o candore o altri artifizi, dov’é finito quel senza eguale, che cosa é stato distrutto da chi, l’entropia e i serpenti intorpiditi che si mordono la coda senza neanche un’ombra gnostica, annientamento o ultracorpi, d’altro non succede nulla direbbero alcuni, crisi filosofica ed esistenziale arricchita da interruzioni troncamenti alla radice operazioni assai pragmatiche, metamorfici flushing meadows senza che i mostri atterrassero con le loro molestie, cupe vampe o livide e soporifiche stanze di fortuna, quale aridità, tra i preta non dev’essere un granché, meglio cosi’ oppure also sprache qual paragrafo di sein und zeit che rifarà la sua invasione, proseguiva l’effusione dello spirto democratico su baghdad, giornate belliche cariche di tensioni psicologiche oltreché di raffiche, vale la pena approfondire, aridi universi giuridici decifrati alla bell’e meglio, la sacralità dell’anandagocara senza elisir psicotropi, le perle ai porci, storie parallele verso la sorgente petrolifera, sembrava quasi dunque di sentirsi venir meno l’augusto terreno da sotto le estremità, una percezione avvilente eternamente presente e ineffabile, tra i giardini di allah qualche fiore inebriante spandeva sogni a tripla mandata o altri nonsensi, tra le mura di chissà quale profeta che ogni primo sabato del mese stordiva i piu’ coriacei decantando miracolose virtu’, meglio le montagne russe che parevano addirsi all’instabilità contestuale o alle sue articolazioni, ecco dunque le anime difettose di chi si nutre di negligenza menefreghismo e illusioni atroci, solenne la costruzione color topo in puro cemento armato con vista sul tempio dell’unione di maiali, accanto cataste di riviste fin troppo prestigiose dal cui riciclaggio sostenere popoli lontani o altre iniziative ammirevoli, come sempre, fastoso ritorno da attricetta isterica, blasonato da oscure pratiche purificatrici o edificanti soggiorni su cio’ che resta del vicino oriente preconflagrazione, se aveva dunque gettato i semi, quali frutti deliziosi, massaie rurali gongolanti e funzionari lividi che raccattavano gli ultimi petroldollari su tavoli poco arcadici, è bello ritrovarsi, con canti e danze, poi al piano superiore della mescita futurista liquidando le meraviglie della casa, fotografie introvabili di memorabili mattanze di camosci carpite per l’occasione - ché non si sa mai, a volte tornano - durante interminabili giornate di zinco consacrate ai pilastri di improbabili esistenze, cos’avrà poi fatto la juve ergo qualcosa é rimasto, l’epa ingorda protesa in avanti, la giacca gessata che sprigionava potere e gloria, accanto i soliti seggi in plastica scarlatta, nota coronata niente fascinosa ma era già tanto che qualcheduno si prodigasse in sfere melodiose, eccoci, was heisst sich in bedeutung orientieren, chiedetelo a quel sapiente avvolto da loden tirolese e virgulti dai nomi biblici ovvero dall’ipernutrita sposa, altra vacca da guerra, la mattina uno sfolgorio di bevande liofilizzate in preparazione a cammini salvifici verso cime asfittiche, l’altare pieghevole sostituito da un provvidenziale sasso, non so proprio come far oppure né con la guerra né con gli eserciti ma col suo santo spirito, phänomenologie des geist, signore del grande universo piu’ altri attributi forse plotiniani, zitti voialtri o vi do un pugnatone sulla testa, e adesso con plinio ci sarà una bella caccia al tesoro, su forza, ora le tue labbra puoi spedirle a un indirizzo nuovo, il prosieguo si perse per carducciane scarpate o nei calderoni infernali, una taunus carica di vettovaglie verso un pianoro poco propizio, oggi vi osservavo, qual novità, osservatori permanenti di rose niente mistiche, e la mia faccia sovrapporla a quella di chissà chi altrooo, se pesco chi fuma dietro i pini lo concio per le feste, de jure predae, l’abitabilità del pneuma o altre vicende per dolorosa via, ecco il bigoncio approntarsi per il lauto pasto, e ringraziamo anche per coloro che non ne hanno.



07/06/07

Ditlinde Persefone Mendez


foto punitiva inchiodata alla parete, la donzelletta in versione campestre, davanti a te un cigno, un’adepta dei draghi o dell’eroina, qual vorstellung di corto vedere avvolta in spire robotiche, chi potrebbe anelare a cio’, con magari la pretesa di rivederla e che oda silenziosamente la gracchiante scoperta dell’ateismo o altre confutazioni parateologali patafisiche, meglio non pensare ai tavoli ligi con apparati ancor piu’ ligi e atmosfera pesante, confettura semovente pane di spago e bevanda gusto cacao guatemalteco, ingrasseremo mica, animo anemos vāyu, benché fosse il regno di indra o altri urlatori prezzolati, impossibile darti cosa vorresti e comunque non ora non qui, vale lo stesso per chi riattivo’ non si sa quale varietà di ourobouros, si perse anche l’efebo libico tra le disciplinate orme del palagio della guarigione, trafitta la sfera incantata, a pezzi la narrazione, playstation oppure miles davis sempre che sia la giornata adatta, sognare di sognarti, un sogno troppo comatoso, svapna o altro modello di turiya per nuove sensazioni, inutile appropinquarsi a ciliegi in fiore o flushing meadows, sciocco ogni fiacco tentativo di sortita dal vastissimo penitenziario con ora d’aria in poli petrolchimici o in laboratori telescopici, bang pa in, esterno giorno, alla vostra destra una dacia acquatica, entusiasmo ebetudine e succo di crisantemo, sat nam, accentuare o ridurre la luminosità, scandinavi alterati trangugiavano l’acqua reale, cavolaia trasformata in padiglioni museali, molto prima trifoglio gigante e frammenti dei dati di coscienza della sera precedente, ora dal logorante monologo quadrangoli con individui assai motivati, autentici commerci tra utilizzabili o esistentivi, se tu dai una cosa a me, oblo’ sull’opaca radura, infelici le tuje e i pini, qui sarebbe una figata ma spiacerebbe doversi spostare chissà quante volte al giorno, la non funzionalità, la problematicità, l’inaudita scarsità di pensiero di chi era già insopportabile al ginnasio e figuriamoci adesso, moltiplicazioni e accumulazioni con ridenti parate, acque stregate dove prosperano gamberi di fiume. Se ancora ci fosse sufficiente apertura verso chissà quale abisso a sorpresa, quale audacia nel pronao del polivalente espacio cultural, mai dovechessia alcuna legge é stata insegnata né potevano intravvedersi orme che non fossero di affaristi predicatori o vice versa, iniziative cartapestaie faranno risplendere indicibili luci taboritiche e immaginabili risvolti, la condivisione del corno di lepre, camminare leggeri cercando di sortire dall’ilico poiché il pneumatico troppo radicato era già da sempre e lo psichico polverizzatosi in chissà quale inflazione, viva la gente, dietro inguardabili affreschi, davanti i grandi del presente, applausi scroscianti e viscerali, non temerai il terrore della notte né le spire dei cobra, anticipazioni della percezione, vi conoscete, certo certo, si las cosas que uno quiere se pudieran alcanzar tu me quisieras lo mismo o giu’ di li’, pusillanimi tentativi di plagio o come potranno essere definiti se ancora vi saranno possibili giuochi linguistici, se avete compilato i moduli appositi che son stati distribuiti, ecco il moro dagli stivali improbabili, poi una carampana fine carriera con calzone da collasso, un pasciuto specialista di sconosciuti dipartimenti, una dama senza ermellino che ci teneva a precisare che, un dottore professore che era meglio non interpellare in quanto coinvolto in realtà significative, pure troppo, con o senza sciroppo ci si perderebbe per strada magari con mal d’auto, ecco i calici delle cicogne ricolmarsi di ginger o scoppioingola, storia parallela della fabbricazione della soda a barranquilla o in altri luoghi, laboratori di uraniborg che lo faranno scomparir, los familiares de la novia, questa nostra realtà appunto, lo diceva prima l’insigne e stimatissimo, potesse transitare negli altiforni o in non precisate discariche di gerico, i passi avanti nell’elefantesco macchinario, tolleranza zero verso questo tipo di intransigenze e non altro, sarà perché si fa parte di questa cosa qua, motivare i giovani, motivarli proprio verso l’apertura, che sia imboccare il vecchio o partire senza formazione verso mondi sconosciuti, siam già in ritardo per le conclusioni e se qualcheduno avesse delle domande o si trovasse in disaccordo, se parlasse piu’ forte, non si sente, questa nostra rivista, bellissima, i nostri progetti, lo zelo dei nostri collaboratori, interno giorno, scrivania in subbuglio e stati di agitazione, non é per essere indolenti, trovandosi con le mani legate, per non dire incaprettati, non potendo promettere nulla perché quelli là non si sa come sono entrati e al momento non si prevede granché, conciossiaché il suo nome avrà trentasei lettere, quadriglia missionaria su gracili bufali, gracile anche l’aperitivo, ecco la donzella in tweed antiassalto, stavamo dicendo, in fuga dal minaccioso coacervo, prodromi durante un avvilente diaporama e uno sguaiato concerto celtico con crescente prosieguo in sconsacrato tempio, trombe forse di gerico con polifonie e melopee, affinarsi del paesaggio acustico che diveniva derviscio, sosta fatale su sabbie fluviali e l’istoriarsi di inenarrabili folgorazioni, l’entrata nella corrente a rischio di contaminazione da parte di livide damigelle, stizziti eterni e via dicendo, un magico ritiro in antro propizio alla disopacizzazione e alle danze che continuarono nelle selve, in prossimità delle acque, nella nebbia, qualsiasi luogo, fino all’irruzione del glaciale shabbat che comprimeva ogni cosa, ancora qualche escursione notturna rileggendo passi illuminanti, sempre che, poi misteriose aperture che sembravano chiusure a tripla mandata o reclusioni con tecnologie proprie. Risalita sul fantasmagorico grattacielo, fulgida la volta o cielo da celare che incoraggiava tornei di kendo, si vedeva anziano e niente saggio e la sentiva rifiorire, un samovar molto decadente e la persuasione a una gita rigenerante tra i vortici partenopei a risanar la fiacca unione con l’imbufalita concubina, aporetico sarebbe ricongiungersi, synousia antigelo dall’arsenale, nell’impossibilità di avere con te un rapporto orale, cosi’ il testo, biblico referente alla necessità della condivisione di insanabili disgrazie piu’ che a improbabile fellatio o altre giostre pigre, intanto dal tempio il nataraja riaccendeva adimensionali fiamme nella durata, cloroformio nelle proliferazioni noematiche e le restanti vorstellungen, in principio erat sermo, volteggi puranici interrotti da chilometrici messaggi dove si macerava, prendeva coscienza delle avvilenti sfere, lanciava sprovvedute richieste di soccorso, si lagnava piu’ di Geremia, inserimento di laconici aforismi pescati direttamente nella rete ovvero riciclando quanto restava di fiacchi esiti, chi parla non sa chi sa non parla, bovindi stile fascio e strazianti châlets prototirolesi, un insolito temporale era finito da poco e l’aria pareva piu’ respirabile, ultracorpi che si pascevano strada facendo, fonte magnesiaca con risultati psichedelici, fiere genti piene di risorse forse perché non tirano via niente, mai, che se corrispondono alla sfera decameronesca é meglio neanche immaginare le crocifissioni (sangiovannidellacroce, appunto), prosseneti convertiti alle ultime encicliche, un po’ problematico trasporto di componibili mobiletti komsomolskaija o largiti dalla portaerei del truciolato, funeste zaffate di naftalina mista a cipolla egizia e rivolgendo pensierini non proprio apostolici e trangugiando bevande del terzo reich.

03/06/07

Riccardo Cavallo: D’almeno due rococò in uno,foglio non numerato


Venere tutt’intera attaccata alla sua preda-quale voce disegnasse nel verso una posizione inaudita quanto invisibile-qui la marionetta intera,la bambola,che accede alle nozze con l’angelo,una topologia singolare dove il nero muta in luce e la luce in nero,l’arrivare per così dire della texture dopo il futuro,disintegrando il tempo e polverizzando lo spazio-a ciò valgano sgorbi tirati via da spinoza goethe e leibniz a seguire [……..]baubò nell’epistola successiva,che giungerà senza partire e Watteau che fece quell’elena di culo su tavoletta qui riprodotta comprimendo catastrofi in splendori che sono ancora colori.sarà detto nel foglio poi,che è prima




simone aimetta - apollo e dafne