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06/09/08
Riccardo Cavallo: da "Cicli del Beccafumi" (1993)
Il Beccafumi nel fumoir
Vide dio: chiamandosi teneramente
e per ischerzo guidogozzano o dylanthomas.
Era quetzalcoatl, il serpente
la grande bestemmia, il blu
dipinto di blu, il loico, il libidico,
il teologo, non si occupava
se non dell'invisibile.
Presto arriveremo a durango, o a bisanzio, là
dove il punto di vista crea l'oggetto
e fra due fiumi come il tigri e l'eufrate
o dove gioca la croce del sud in uno specchio tremulo
lì dove c'è una stella, una stella
che usciremo a rivedere, fanciulla,
sacra prostituta, manto di giaguaro
sei questo viso che ride d'ogni sciagura
e di tutte le catastrofi, questo scheletro perlaceo che non è più
un discorso, che non lo è mai stato.
Piange al capezzale dell'estate,
prevede scene turche, negre, torinesi,
sarà autunno felice per lunghe ombre nel pomeriggio,
aiole abbandonate, fumo fra i docks, arrivando come se fosse un'alba
e l'esperimento della gran vacuità.
Un sogno di vento: non è il diamante,
non è la sfera di cristallo:
la bolla, solo la bolla.
Di ottobre in un respiro lo stradario folle
la fine del sonno di millenni, la colomba,
l'interminata veglia che fu un concerto sospeso
lo scorso settembre
nel corridoio degli affreschi,
ritornare sui luoghi, sul luogo, tutti i luoghi
dove respirava, dipinto forse in forma d'isola
nel box, d'angelo o di nera nube, densa e gonfia.